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Letture di gusto: un giacimento enogastronomico (prima parte)
 

Alle Falde del vulcano
Il vulcano spento Roccamonfina raggiunge la guota di 1005 metri con la vetta del monte Santa Croce. È ricoperto da una lussureggiante vegetazione di castagni ed è ricco di sorgenti di acgua oligominerale.
Il vulcano di Roccamonfina è spento da circa cinguantamila anni e oggi fa parte del parco regionale Roccamonfina e foce del Garigliano, istituito nel 1999, che occupa 11.000 ettari.
Il Parco naturale regionale del Vulcano è di eccezionale interesse naturalistico, geologico, storico, artistico e archeologico e interessa i comuni di Conca della Campania, Galluccio, Marzano Appio, Torà e Piccilli, Roccamonfina, Teano, Sessa Aurunca. Il vulcano di Roccamonfina, le cui prime emissioni di lava risalenti ad oltre un milione di anni fa lo fanno essere il più antico della Campania, è il più grande, per estensione, della regione, ed è situato nella parte settentrionale della provincia, tra il Garigliano e il Volturno. Ha intorno i massicci calcarei del monte Massico, del monte Camino e del monte Maggiore.
Uliveti e vigneti fino ai 500 metri di altezza; poi, fino alla vetta, boschi di castagni secolari; e ricca e varia la flora spontanea, crochi, anemoni, primule, orchidee rare e bellissime. La fauna è quella tipica appenninica: volpi, cinghiali, scoiattoli, ricci, gufi, poiane, civette, gufi, allocchi, il picchio rosso e quello verde. Questo è il paesaggio che si presenta a chi a rilassanti passeggiate a piedi o a cavallo,tra ricerche geologiche e naturalisti che si appresta a passare una meravigliosa giornata a contatto con la natura. Il colore degli uliveti, i muri a secco di divisione e i terrazzamenti, rappresentano un elemento di distinzione nel paesaggio.
I comuni inclusi nella Comunità Montana Monte S. Croce, Conca della Campania, Galluccio, Marzano Appio,Mignano Montelungo, Presenzano, Rocca d'Evandro, Roccamonfina, San Pietro. Infine, Torà e Piccilli: tutti piccoli comuni che sprigionano un fascino particolare antico e magico, i prodotti di questa area sono di grande qualità, segnano da sempre le caratteristiche culturali e le tradizioni delle popolazioni locali.
Particolarmente suggestivo, il territorio che dal punto di vista naturalistico gravita intorno al Vulcano spento di Roccamonfina. Si tratta di 2.000 ettari a 800 metri di altezza media che comprendono i rilievi calcarei al confine coi Monti Aurunci. L'area, dichiarata dal Progetto Bioitaly, Sito di Interesse Comunitario, rientra nella Comunità Montana Monte Santa Croce, qui la flora è prevalentemente composta da lembi di macchia mediterranea, lecci, roverelle, ulivi, carrubi, ginestre e salvastrelle.

Letture di gusto: un giacimento enogastronomico

Il vino e l'olio
In questo paesaggio, ideale per chi intenda trascorre re piacevoli g i o mate a contatto diretto con la natura, nasce un altro prestigioso vino Doc della Campania: il Galluccio. L'area di produzione comprende infatti cinque comuni, dominati dal vulcano spento di Roccamonfina, che con la sua attività eruttiva ha reso i terreni, per struttura e composizione, estremamente vocati alla coltivazione della vite. I depositi lavici, ricchi di microelementi e di potassio, conferiscono alle uve, prima, e ai vini, poi, profumi intensi e delicati.
Il Disciplinare di produzione pone vincoli molto rigorosi a garanzia della qualità del prodotto. Le vigne del Galluccio DOC Infatti, la base è costituita essenzialmente da vitigni autoctoni di grande pregio, come l'Aglianico, per il tipo rosso e rosato, e la Falanghina, per tipi bianchi. Anche le produzioni ad ettaro appaiono molto contenute. Tre le tipologie: il Galluccio bianco, dal caratteristico aroma fruttato, che si armonizza con antipasti e fritture all'italiana, pesce nobile e crostacei, risotti ai sughi di mare, pizzelle di alghe e cicinielli, linguine agli scampi. Il Galluccio rosso, ideale con soufflé di formaggi a pasta molle, trippa e patate, coniglio alla cacciatora, minestra maritata e caciotta.
E il Galluccio rosato, abbinato tradizionalmente a risotti, pasta e zucca con peperoncino, cavatelli e capperì, frittata di cipolle o di patate. Dalla stessa zona o da territori limitrofi provengono poi le IGT (Vini ad indicazione Geografica Tipica) Roccamonfina e Terre del Volturno. Gli oliveti coprono gran parte della Comunità Montana. Il colore degli uliveti, i muri a secco di divisione e i terrazzamenti rappresentano un elemento di distinzione nel paesaggio.
Nella Comunità Montana si fa l'olio quando la drupa comincia ad invaiare (scurirsi) e viene colta dal ramo prima che cada. Si ottiene così un olio verde intenso, poco acido e ricco di sostanze utili e benefiche per l'organismo.

La castagna
Nella seconda domenica d'ottobre dal 1976 si svolge la Sagra della Castagna principale prodotto tipico. Agli inizi del 400 il francescano San Bernardino da Siena, accompagnato da San Giacomo della Marca, si recò in pellegrinaggio nel Casertano, e più precisamente nei pressi di Roccamonfina, per rendere omaggio alla Madonna dei Lattani. Arrivato a destinazione il frate pensò di edificare nella zona un convento e, per conoscere la volontà di Dio in merito al suo proposito, provò a piantare in terra il proprio bastone di castagno secco che subito germogliò.
Un'antica leggenda spiega così le origini della castanicoltura nell'area del Vulcano di Roccamonfina e del Monte Santa Croce, dove quell'albero plurisecolare della varietà Tempestiva piantato dal frate ancora oggi sarebbe in vita e dove da lungo tempo il castagno rappresenta una risorsa fondamentale sotto l'aspetto non solo economico ma anche sociale ed ambientale. Le principali varietà coltivate nella zona sono la Tempestiva, la Napoletana, la Paccuta e la Lucida, che da sole o consociate valorizzano e caratterizzano le diverse contrade rurali, da Roccamonfina a Conca, da Marzano a Teano.
La Tempestiva o Primitiva o Precoce di Roccamonfina è la cultivar più diffusa negli impianti della zona. Grazie anche alle condizioni ottimali offerte dalla giacitura e dalla natura dei terreni, la maturazione inizia nei primissimi giorni di settembre e termina dopo circa una ventina di giorni. La castagna prodotto di rilievo per l'economia locale, un dono naturale che l'uomo ha saputo valutare e rispettare traendone e sviluppandone le qualità. Le prime a comparire nella prima decade di settembre sono le Tempestive.
Trattandosi di una delle varietà più precoci d'Italia, apre di fatto la campagna di commercializzazione delle castagne e viene destinata in particolare alla produzione delle caldarroste. I frutti sono di medie dimensioni e la forma è quella tipica della castagna, con una faccia piana e l'altra convessa, il pericarpo è di colore marrone brunoscuro con strie poco evidenti, la polpa consistente, il sapore dolce. Fino a novembre poi seguono le altre varietà: lucida, paccuta, napoletana, mercugliana, marzana e tardiva. Un tempo le castagne venivano essiccate al calore in locali appositi e poi cucinate insieme ad altri legumi a cottura lentissima. Oggi il metodo più usato per la conservazione è la bagnatura che prevede di immergere le castagne in un recipiente pieno d'acqua per alcuni giorni. Le castagne sono ottime arrostite sulla brace nella vrulara la padella forata, o gustate nelle mille ricette della tradizione.
Nella seconda domenica d'ottobre dal 1976 si svolge la Sagra della Castagna principale prodotto tipico di Roccamonfina. In questa occasione si possono assaggiare numerose specialità locali quali (marmellate di castagne, liquori, caldarroste, castagne sciroppate, funghi porcini, miele e gelato al sapore di castana), ed acquistare prodotti dell'artigianato locale come cesti e lavorazioni in legno realizzate a mano.

Minestra di castagne e porri
Ingredienti: 500 gr castagne, due gambi di sedano, prezzemolo, uno spicchio d'aglio, 20 gr di burro, due cucchiai di olio extravergine d'oliva, mezzo litro circa di acgua, sale, pepe, brodo.
Preparazione: rosolare in metà olio e metà burro i porri, il sedano e il prezzemolo tritati fini e uno spicchio di aglio che bisognerà togliere quando sarà dorato. Sbucciare le castagne e immergerle per una decina di minuti in acgua bollente, guindi spellarle e metterle nella casseruola insieme col soffritto aggiungendoci anche un litro d'acqua, sale e pepe a piacere. Bollire fino a guando le castagne non siano completamente lessate, passare poi tutto al setaccio e aggiungere alla purea, se fosse troppo densa, acqua o brodo o, meglio ancora, latte e rimettere sul fuoco finché raggiunga l'ebollizione. Servire con crostini fritti nel restante olio e burro. Antichi laboratori artigianali trasformano tutt'oggi il latte dii pecora, capra e vacca in ottimi formaggi pecorini, caprini e vaccini.

Miele, formaggio, carni e salumi
Gli allevamenti bovini, caprini ed ovini danno luogo al prodotto locale per eccellenza: il formaggio. Gli amanti dei formaggi apprezzeranno l'ottimo caciocavallo, il caprino e il pecorino, segnalato nell'elenco dei migliori formaggi italiani. Antichi laboratori artigianali trasformano tutt'oggi il latte di pecora, capra e vacca in ottimi formaggi pecorini e caprini e vaccini. Il casaro prosegue il lavoro iniziato dagli animali mantenendone fragranza, odore e sapore. Nei borghi adagiati sulle pendici del vulcano sopravvivono ancora formaggi come:
Il Caso peruto, Cas'e marzo di Teano, Conciato romano o Caso conzato, Cacio forte di Statigliano (frazione di Roccaromana), appartengono ad una famiglia di autentici fossili gastronomici dell'antichissima tradizione casearia pastorale della provincia di Caserta, mantenuta in vita da pochi caparbi allevatori e casari.
Questi antichi formaggi ovicaprini, non sufficientemente valorizzati e fin'ora rimasti ai margini dell'economia locale, rischiano di scomparire del tutto, e solo di recente stanno riscuotendo il ben meritato riconoscimento, sebbene già negli anni sessanta Veronelli, nei suoi resoconti sulle tradizioni gastronomiche della Campania, ne aveva più volte decantato il grande valore, anche culturale, e l'assoluta tipicità. Come per gli altri prodotti tradizionali, essi sono finalmente oggetto della dovuta attenzione della Pubblica amministrazione, che sta attivando specifiche azioni di tutela e di valorizzazione.
Il Caso peruto è un formaggio ovicaprino di remota origine, tipico della zona compresa tra Sessa Aurunca e San Pietro Infine, area di antichissima tradizione pastorale dove, in un aspro paesaggio montano, si incontrano le regioni Lazio, Campania e Molise.
Caso peruto
, formaggio perso. Caso peruto fa parte di un'antica famiglia di formaggi conciati, cioè trattati con cure particolari durante la stagionatura, e aromatizzati con erbe spontanee. Le piccole forme, del diametro di 10 cm, dopo una prima essiccatura vengono lavate con acqua corrente o, secondo l'uso tradizionale, con l'acqua di cottura della pasta fatta in casa (le pettole), quindi asciugate e trattate in superficie con aceto di vino bianco ed olio d'oliva, infine cosparse di pimpinella (Timo sevatico) essiccata, e infine poste in brocche di terracotta chiuse ermeticamente.
Sulle colline a ridosso di Teano, tra olivi, castagni, noccioleti e ciliegi, da sparuti allevamenti di capre e pecore si produce in piccole quantità un altro antico formaggio ovicaprino, molto simile al Caso peruto. E' il Caso di marzo, la cui preparazione avviene nel periodo invernale. La base è composta da latte di pecora e di capra, oppure interamente da latte di pecora; al latte viene aggiunto il caglio naturale, ottenuto da fiori essicati di cardo raccolti nel periodo estivo. La stagionatura dura fino al mese di marzo, quando la maturazione è ottimale ed il Caso di marzo, interamente ricoperto dalle foglioline di pimpinella, acquista un colore verde giallognolo. Al taglio risulta morbido, la pasta cremosa emana un forte e caratteristico odore e mostra all'interno piccole occhiature con la loro lacrima, segno inequivocabile di qualità e prelibatezza, un paesaggio ancora intatto, verdeggiante di olivi, castagni e ciliegi, le frazioni collinari di Teano, adagiate sulle possenti balze del Vulcano di Roccamonfina, conservano antiche tradizioni pastorali, memoria vivente di un mondo che rischia di scomparire.
Qui sopravvivono alla civiltà sparuti allevamenti di capre e pecore, il cui latte è usato per fare il ricercatissimo Marzolino o Marzellino. Il caso di marzo mostra all'interno pìccole occhiature con la loro lacrima, segno inequivocabile di qualità e prelibatezza. L'aroma, lieve ma deciso, il gusto delicato, leggermente piccante, aromatico e caratteristico, ne fanno un'autentica prelibatezza. Purtroppo, a causa della progressiva scomparsa degli allevamenti caprini che, seppur a carattere familiare, erano fino a qualche tempo fa molto diffusi in zona, la Marzellina è in serio pericolo di estinzione.
E' un prodotto che ha pieno titolo per meritare un'adeguata valorizzazione, anche al fine di evitarne le definitiva scomparsa. Il miele è un prodotto nato in natura e apprezzato fin dall'antichità. Le api che nel territorio trovano le piante e erbe e fiori più disparati, dal tiglio al castagno, al trifoglio alla robinia, vengono impiegate per la produzione in cattività di miele millefiori (una volta all'anno) e a più riprese per i monoflora. Chi ama la natura non può non tener conto della spontanea crescita di prodotti selvatici alla base della preparazione della maggior parte delle pietanze della zona.
Questi sono le fragoline di bosco, la maggiorana, l'origano, i funghi tra cui i pregiatissimi porcini gustati in mille. Ottime sono poi le carni di agnello e di capretto. L'allevamento suino ci regala ottimi prosciutti capicollo, salsicce, pancetta ed il tipico insaccato; e stata reintrodotta il tradizionale allevamento di maiale nero razza casertana un tempo molto diffuso nella antica provincia di terra di lavoro che comprendeva anche vaste aree del basso Lazio, attuale provincia di Frosinone.

Carne di suino di tipo casertano glie puorche
Parlare sulle caratteristiche della razza suina nera in Terra di Lavoro, significa entrare in contatto con la storia rurale di un popolo , che ha generato usi diversi in corrispondenza di territori diversi, dal litorale all'entroterra. La ricerca sulle origini e presenza di questa razza nel territorio sono estremamente connessi agli intenti di riqualificare un animale quasi del tutto scomparso nel periodo post bellico, ma che, fortunatamente, è stato recuperato nell'allevamento di alcune aziende tra il casertano e il frosinate.
Il maiale nero glie puorche, era allevato quella zona storico geografica nota come Terra di Lavoro. Il territorio dell'Alto Casertano, monte Maggiore e ai rilievi del comune di Roccamonfina, il confine nord della regione Campania. Qui era allevata una varietà di maiale denominata casertana o razza nera o pelatela senza peli. La pratica di allevare il maiale per il consumo alimentare della famiglia è oggi quasi del tutto dimessa , nonostante abbia rivestito grandissima importanza nelle società tradizionali e sia ancorata alla memoria popolare, poiché il maiale, rispetto a qualsiasi altro alimento contadino, rivendica ancora oggi una posizione di privilegio. In quanto dispensatore della più cospicua riserva di grassi e proteine, questo fantastico animale ha determinato uno straordinario sodalizio fra umani e suini, infatti: i suini sono prolifici, crescono rapidamente di peso e realizzano il massimo del rapporto fra investimento e resa; l'allevamento non richiede l'intervento quotidiano dell'uomo e sono onnivori, quindi non sottraggono alcun tipo di risorsa importante agli umani. Se allevati allo stato brado come la pelatela sfruttano i prodotti di aree non agricole che gli umani abbandonano, inoltre, non interferiscono con le aree riservate agli erbivori: capre, pecore, bovini e cavalli.
Purtroppo, come abbiamo accennato precedentemente, i motivi che hanno contribuito alla scomparsa di questa secolare tradizione vanno ricercati nelle nuove tendenze e influenze dei mass media: in primo luogo nel cambiamento della nostra dieta alimentare che, nella scelta dei consumi moderni, esclude l'uso dei grassi animali; in secondo luogo vanno analizzati anche dal punto di vista igienico, per cui la prassi dell'allevamento familiare viene scoraggiata da una lunga serie di problemi connessi alla convivenza con detti animali. L'allevamento casereccio del maiale ha necessità di essere ripristinato o quantomeno tutelato nel suo aspetto culturale, poiché il maiale non è solo cibaglia per sopravvivere, ma è ancora indispensabile strumento di trasmissione e conoscenza nel rapporto interdisciplinare tra le nostre discendenze e il loro habitat.
La Casertana è universalmente riconosciuta come una tra le migliori popolazioni suine autoctone italiane, anticamente definita dagli esperti l'orgoglio suino italiano. Nel 1899 il prof. Baldassarre, dell'allora Regio Istituto Superiore per l'Agricoltura di Portici, esaminando antiche raffigurazioni di suini e cinghiali rinvenute negli scavi archeologici di Capua, Pompei ed Ercolano, suppose di individuare le caratteristiche dell'odierno suino casertano, probabilmente, quindi, già allevato in epoca romana. Il suino casertano non è una razza, ma un Tipo genetico autoctono antico (TGAA), caratterizzato da un colore grigio ardesia del manto e dall'assenza di setole, da cui il nome tradizionale di Pelatela.
Altra particolarità del suino TGAA casertano sono le così dette sciuccaglie, due bargigli che pendono ai lati della gola. Il suino casertano si distingue nettamente, quindi, dai così detti maiali neri, come i tipi Romagnola, Calabrese o Nera dei Nebrodi. Antichissimo ed assolutamente singolare, questo rustico e frugale suino è da secoli allevato allo stato semibrado nei boschi del Casertano e del Beneventano e basso Lazio, dove si nutre di ghiande, castagne ed altri vegetali del sottobosco, ma non degna qualsiasi altro tipo di alimento che riesce, con grande abilità, a scovare con il suo muso allungato. Immancabile tra gli animali allevati dalle famiglie contadine, è capace di ingurgitare e di valorizzare ogni sorta di scarto vegetale, pastone o brodaglia, trasformando qualsiasi rifiuto organico in proteine ad elevato valore alimentare.
Macellato nel periodo più freddo dell'anno, tra gennaio e febbraio, costituiva un'insostituibile riserva di energia per affrontare i rigori invernali. L'abbondante grasso addominale prodotto dal maiale casertano veniva e viene ancora utilizzato per fare la cosiddetta sugna, utilizzata come condimento base nella cucina tradizionale contadina, insostituibile per confezionare alcuni prodotti da forno tradizionali Campani (taralli 'nzogna e pepe, casatielli, torte rustiche), ottima per rendere più morbida e saporita la pasta per la pizza, eccellente per conservare le tipiche salsicce sotto sugna Casertane.
Nel secondo dopoguerra il suino casertano venne soppiantato dai più magri e produttivi suini bianchi di origine anglo americana, fatto che gli ha fatto rischiare la completa estinzione. Spesso confuso o incrociato con altri tipi di suini autoctoni, è stato recentemente rivalutato per la particolare gustosità delle sue carni. Sotto l'impulso di un meritato riscatto, per certi versi anche culturale, in particolar modo nelle province di Caserta e di Benevento, si sta verificando un rinnovato interesse casertano. Dal punto di mentare, la caratteristica pregiata e tipica del suino casertano è la buona marezzatura delle carni, ossia la presenza di tessuto connettivo intramuscolare.
A differenza della carne dei suini magri, quella di casertano non si secca né si indurisce durante la cottura, il che le conferisce una particolare masticabilità e sapidità. Per tale motivo il suino TGAA casertano è molto ricercato per la carne fresca, da consumarsi in ogni modo ed in diversi tagli (prosciutto di coscia e di spalla, costatelle, tracchie), ma anche per confezionare i pregiati salumi tradizionali campani (salsicce, capocolli, pancette, soppressate, prosciutti). Per i prodotti tipici a base di carne di maiale di tipo casertano, freschi e trasformati, è in itinere l'ottenimento della DOP.
Per chi volesse maggiori informazioni: Consorzio Allevatori Razza Suina Casertana, Corso Trieste, 64 Caserta tel. 0823444441 Centro di selezione Ruviano presso Azienda Agrituristica Masseria dei Trianelli Ruviano Caserta.

Letture di gusto: un giacimento enogastronomico

Prodotti artigianali e gastronomia
Tra i prodotti artigianali, tutt'oggi esistenti si menzionano i fabbricanti di sporte, sportoni e piccoli oggetti di necessità come i sotto pentole realizzate dalla lavorazione della stramma; infine i bottai, produttori di scaloni, gerle, botti e tini, mestiere legato all'attività del fattore e del cantiniere per conservare il vino. La gastronomia è di tradizione tipicamente contadina, ricca di sapori semplici e genuini, ma robusta e decisa nei sapori, fedele ai prodotti che essa produce. I primi piatti sono, in genere, a base di pasta fatta in casa (cavatelli, tagliatelle, lagane, fusilli), condita con legumi; o sughi di pomodori, olio extravergine d'oliva.
Pasta di grano duro vari tipi di carne che hanno la loro massima espressione nei cavatelli al ragù, piatto dei giorni di festa con sugo di agnello o di castrato e formaggio pecorino. Molto diffusa è anche la polenta con salsicce di maiale o con verdure e fagioli.
Zuppa antica ingredienti per 4 persone:
400 gr. di castagne secche di qualità primitiva di Roccamonfina
400 gr. di funghi porcini raccolti nel parco di Roccamonfina
400 gr. di fagioli locali
50 gr. di pomodoro del Vesuvio
30 gr. di olio extra vergine d'oliva dell'Alto Casertano
400 gr. di pane cafone raffermo
1 cipolla
2 spicchi d'aglio.
Procedimento:
mettete a bagno il giorno prima le castagne ed i fagioli. Cuoceteli, se possibile in una recipiente al calore di un camino. Fate un soffritto di aglio e cipolla, quindi unite i funghi porcini tagliati a cubetti, i pomodorini, e le castagne con i fagioli precedentemente cotti. Fate cuocere per 20 minuti e condite con olio extravergine di oliva, quindi servire accompagnata da crostini.
Tagliarielli e ciciri
Ingredienti: farina di grano duro, ceci lessati, aglio pomodori, olio extravergine d'Oliva. Pasta di grano duro unita al sugo di pomodoro e ceci lessati in acqua salata. Cuocere nell'antica pignata di terracotta.

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